È il PAESE più LUNGO della Campania ed è in provincia di Salerno | Tutto è rimasto uguale all’anno 1000, è pazzesco

Hai presente quei piccoli borghi che, appena li vedi, ti fanno sorridere? Cannalonga è uno di quelli
Un paesino del Cilento che rimane impresso, anche solo per il suo nome buffamente lungo. Quel “Cannalonga” mette insieme quasi tutto: il torrente Mennonia – sul quale spuntavano canne alte – e la parola “longa” che fa capire quanto era estesa la vegetazione palustre. Insomma, è come se qualcuno avesse detto “il posto delle canne lunghe” e ci avesse lasciato un nome così… generoso.
Ma qui ci piace giocare col nome: “Cannalonga, il paese più lungo”, si potrebbe scherzare guardando la sua piazza principale che sembra dilatarsi verso il cielo, con il Palazzo Ducale (Mogrovejo) che veglia fiero in Piazza del Popolo. È uno di quei borghi che si snodano lentamente, tra vicoli di pietra, case addossate alla collina e scorci che si allungano, quasi a voler racchiudere ogni angolo della memoria.
Siamo a 550 metri sul livello del mare, alle pendici del Monte Gelbison, incorniciati da castagni, faggi e ontani napoletani. Un paesaggio che sembra fatto apposta per concederti un respiro profondo e farti capire che stai davvero entrando nel cuore del Cilento rurale.
E la vista? Beh, se alzi lo sguardo, ti perdi tra le montagne che circondano il borgo, e se abbassi gli occhi puoi quasi toccare l’acqua del torrente dove un tempo le canne formavano un fitto prato liquido.
Una storia più lunga del previsto
Cannalonga non è nato ieri, anzi. Le prime case si formarono tra l’VIII e il X secolo dopo Cristo, frutto di una migrazione dalla vicina Civitella. Ma divenne davvero “famoso” attorno al 1450, quando prese vita la Fiera di Santa Lucia, che si svolgeva a dicembre e poi – a partire dal Seicento – venne anticipata a settembre, diventando la celebre “Fiera della Frecagnola”.
E qua torniamo al gioco di parole: Frecagnola, un nome curioso che potrebbe derivare dal dialetto locale e significare “fregatura” – come se nei mercati ci fosse chi cercava di imbrogliare compratori e contadini. Oppure, più simpaticamente, dal bollito di capra, il “crapa vudduta” cucinato proprio in quei giorni di festa. È uno di quei comportamenti culturali dove nome e tradizione si intrecciano, proprio come le lunghe canne sul torrente.
La fiera paesana richiama fortemente la gente
Oggi la fiera non è più quella gigantesca per i pastori del passato, ma conserva un richiamo forte: è un momento per rivivere tradizioni antiche, per gustare piatti tipici (e sì, spesso c’è di nuovo il bollito di capra). E ogni anno, il sabato prima della seconda domenica di settembre, Piazza del Popolo torna a essere vivace, con bancarelle, odori, voci, con la gente che parla del passato e del presente insieme.
Poi c’è l’architettura: il Palazzo Ducale dei Mogrovejo, un edificio del XVI secolo che affaccia proprio sulla piazza e racconta le vicende nobiliari del paese, con legami che arrivano fino a Lima – dove il santo Turibio de Mogrovejo fu arcivescovo. Accanto, la chiesa di Santa Maria Assunta e la chiesa del Monte Carmelo, che raccontano anch’esse la storia e la fede della comunità.