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Lavoratori in rivolta contro il caldo | STOP obbligatorio ma con lo stipendio garantito, ecco cosa NON ti dicono

Campo coltivato
Chi lavora all’aperto può rifiutarsi di lavorare quando fa troppo caldo – pexels – salernosera

Con l’arrivo delle ondate di calore estive, sempre più lavoratori si trovano a dover fare i conti con temperature estreme che mettono a rischio la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro.

Il caldo intenso può causare spossatezza, disidratazione, difficoltà di concentrazione, fino a gravi colpi di calore. Proprio per questo, la legge italiana riconosce che, in condizioni particolari, un lavoratore può rifiutarsi di lavorare senza perdere la retribuzione se le condizioni diventano pericolose.

In base all’articolo 2087 del codice civile e al Testo unico sulla sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/2008), il datore di lavoro è obbligato a valutare i rischi ambientali, compreso lo stress termico, e a mettere in atto misure per proteggere i dipendenti

Se questi obblighi non vengono rispettati, il lavoratore può decidere di interrompere la prestazione lavorativa, e lo fa senza perdere la retribuzione. Lo ha confermato anche la Corte di Cassazione con la sentenza n. 836 del 2016, dove si ribadisce che in caso di inadempienza del datore di lavoro la sospensione è legittima e retribuita .

La questione diventa particolarmente urgente nei settori in cui l’esposizione al sole e al caldo non è solo una possibilità, ma una costante: agricoltura, edilizia, lavori in quota, estrazione, manutenzione stradale e trasporti. Anche nei capannoni, se non adeguatamente ventilati o refrigerati, si rischia di superare soglie di sicurezza. Lo stress termico in ambienti chiusi senza aria condizionata, come nel reparto macellazione o panificazione industriale, è un pericolo reale.

Il sistema Worklimate di INAIL in aiuto dei lavoratori

Spesso le aziende – o le autorità locali – intervengono imponendo limiti orari: è il caso della Regione Lazio o Calabria, che hanno stabilito lo stop nelle ore più calde, tra le 12.30 e le 16.00, nei giorni segnalati a rischio elevato dal sistema Worklimate di INAIL. In queste fasce orarie, chi dovrebbe lavorare all’aperto può rifiutarsi senza subire sanzioni disciplinari né perdere la paga.

Cosa fare se ti trovi in questa situazione? Prima di tutto, è importante avere il coraggio di segnalare formalmente la situazione al datore di lavoro o al responsabile della sicurezza. Se arriva l’ordine di continuare a lavorare nonostante il caldo eccessivo, puoi far valere il tuo diritto a interrompere la prestazione. In quel momento, non solo non perdi salario, ma ti tuteli legalmente. Un’azione del genere deve essere motivata e, in caso di contestazione, potrebbe essere utile consultare un sindacato o un patronato per supporto.

Donna che lavora nei campi
Donna che lavora nei campi – pexels – salernosera

La CIGO può essere di grande aiuto

Un altro strumento utile per le imprese è la Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria (CIGO): in caso di rischio termico documentato, con punteggi superiori ai 35 °C o in presenza di particolari condizioni lavorative, le aziende possono accedere a un ammortizzatore sociale per sospendere o ridurre l’attività senza licenziare, mantenendo comunque i salari dei dipendenti

In sintesi, se al lavoro si superano limiti di sicurezza stabiliti dalla legge, hai il diritto non solo di fermarti, ma di farlo senza conseguenze economiche. Non è un comportamento egoistico: è un modo per far rispettare le norme di sicurezza e garantire un ambiente di lavoro salubre anche quando il caldo diventa insopportabile.